Intervista a Silvano Petrosino.

Oggi la tecnica sembra offrirci infiniti strumenti di comunicazione, eppure molti avvertono una crescente solitudine. Com’è possibile?

Mi permetto di correggerla: la tecnica non ci offre infiniti strumenti di “comunicazione” ma infiniti strumenti per il “trasferimento” di messaggi, immagini, informazioni, ecc. La comunicazione è altra cosa dal trasferimento di messaggi, immagini, ecc.
Si potrebbe precisare questa distinzione osservando che laddove c’è comunicazione c’è sempre trasferimento, ma laddove c’è trasferimento non sempre – e, soprattutto, non necessariamente – c’è comunicazione.

Spesso tendiamo a confondere l’informazione con il dialogo; secondo lei cosa significa comunicare bene?

Comunicare vuol dire mettere in comune con l’altro. Questa definizione sembra essere un’ovvietà, ma non è così. In effetti, siamo sicuri che quando parliamo o inviamo una mail all’altro vogliamo comunicare con l’altro? Personalmente non lo credo affatto. Il più delle volte, spesso inconsapevolmente, parliamo all’altro per parlare di noi stessi. È come se il continuare a parlare, messaggiare, inviare, chattare, ecc., più che marcare l’importanza o anche solo il rispetto dell’altro, non fossero altro che l’occasione per imporre un’auto-promozione di noi stessi. In verità tutto questo non dovrebbe stupire. Siamo sempre alla ricerca di una conferma del nostro stesso esistere, siamo continuamente alla ricerca di un riconoscimento da parte dell’altro. «Dimmi che esisto»; non «Penso, dunque sono» ma «Parlo, dunque sono». E, più precisamente, «Parlo, dunque sono, proprio perché sono io che ti parlo», laddove il “ti” è, in verità, uno strumento nelle mani dell’“io”.

Lei afferma che comunicare (davvero) è una pratica incerta; perché?

L’incertezza – io preferisco parlare di dramma – deriva, da una parte, come ho accennato, dal mio supposto desiderio di comunicare con l’altro (lo ripeto: non vi è nulla di più incerto), e, dall’altra parte, da quell’“altro” con cui dichiaro, spesso ingannandomi, di voler comunicare. Chi è l’altro? Per comunicare bisogna ascoltare; prima di parlare bisogna ascoltare, ma ascoltare l’altro è faticoso e complicato. Recentemente, in metropolitana, ho sentito una donna che, al cellulare, diceva immagino ad una sua interlocutrice: «Ma è inutile che insisti, tanto tu dici una cosa e lui ne capisce un’altra». Forse non c’è definizione migliore del dramma del comunicare; bisogna infatti riconoscere che l’altro capisce un’altra cosa, non perché è distratto o in malafede (talvolta, senza alcun dubbio lo è) ma perché è altro.

Sempre in rapporto all’ambito comunicativo, quali sono, secondo lei, i rischi più insidiosi del nostro tempo?

Il rischio più insidioso deriva da una concezione del comunicare superficiale e banale; e questa, a sua volta, deriva da una concezione del tutto inadeguata del “modo d’essere” dell’uomo, per riprendere una bella espressione di Heidegger. A me sembra che la menzogna più grave oggi in circolazione (ma forse è sempre stato così) non riguardi l’idea di Dio o della verità o della giustizia, ecc. ecc., ma riguardi l’uomo. Se ne parla come se fosse un semplice vivente, forse più complesso dell’ape o del gatto, ma sempre un semplice vivente, trascurando così quella che Cassirer ha giustamente definito “l’aggrovigliata trama dell’umana esperienza”. Oggi le varie scienze si vantano di essere vicine al dissolvimento di questo intreccio, anche perché il più delle volte neppure lo riconoscono.

Come educare a una buona comunicazione?

L’educazione non è mai il frutto di una lezione, e neppure di una serie di lezioni, e neppure di uno o più corsi. Le posso dire che cosa dico io agli studenti alla prima lezione del corso di Teorie della comunicazione all’università Cattolica di Milano: quello che si chiama “comunicazione” il più delle volte non lo è affatto. Si può continuare a credere che i cellulari, i social, i selfie, ecc., abbiano a che fare con la comunicazione, e una tale fede ha a che fare con il godimento. D’altra parte, ognuno gode come può. Per quanto può valere il mio parere, a tale riguardo io cerco di percorrere altre strade.

Silvano Petrosino è professore ordinario presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove insegna Teorie della comunicazione e Antropologia filosofica. Si occupa di filosofia contemporanea e, in particolare, dell’opera di Heidegger, Levinas e Derrida. I suoi studi si concentrano sul rapporto tra razionalità e moralità, sulla natura del segno e sulla struttura dell’esperienza, soprattutto dal punto di vista della relazione tra la parola e l’immagine. Sarà ospite della SPES martedì 9 maggio 2023.