Intervista a Benedetta Giovanola

La professoressa Benedetta Giovanola è intervenuta recentemente a Udine, in occasione di una lezione alla Spes (Scuola di Politica ed Etica Sociale), promossa dall’Arcidiocesi di Udine, approfondendo il tema dell’economia delle relazioni.

È possibile coniugare etica ed economia? L’impressione è queste due importanti dimensioni del nostro vivere quotidiano viaggino su binari separati…

Quello tra etica ed economia è un rapporto non solo possibile, ma anche necessario. In effetti, nonostante le pretese di avalutatività espresse da gran parte degli economisti mainstream – ovvero l’idea che quello economico sia un sapere strumentale, moralmente neutro – la pratica economica possiede un forte sostrato valoriale. Offre, cioè, precise indicazioni su ciò che va considerato buono e giusto; dunque, non è, né può, essere priva di riferimenti propriamente etici. La vera domanda, allora, dovrebbe chiedere quale etica consenta all’economia di promuovere al meglio i suoi fini umani, ovvero il bene degli individui e della collettività. È una domanda che, storicamente, nasce almeno con Aristotele e che, benché in un contesto profondamente diverso, non è oggi meno attuale, anzi, emerge in tutta la sua urgenza. Tanto più se pensiamo ai disastri creati da una finanza avida, interessata solo alla massimizzazione del profitto a breve termine (che ha poi causato la crisi del 2009) o ai danni ambientali e salutistici di strategie industriali incapaci di promuovere integralmente il bene umano (pensiamo, a mero titolo di esempio, al caso dell’Ilva di Taranto).

Per molti, però, l’economia è semplicemente una tecnica; è davvero così?

Questa è la visione propria di quella che un economista del calibro di Amartya Sen definirebbe “economia ingegneristica”, ovvero un’economia che si appiattisce sui mezzi perdendo il riferimento alla domanda sui fini. Ma questa non è l’unica, né la migliore, economia possibile. Se l’economia si appiattisce sul versante tecnico – che, pure è importante e necessario – rischia di perdere di vista la sua dimensione propriamente umana; ovvero la sua capacità di promuovere il benessere e la cooperazione.
Esiste, però, anche un’economia dichiaratamente attenta alla dimensione etica, che si interroga sui fini e sui mezzi più adeguati a raggiungerli; ed è questa che oggi, più che mai, siamo chiamati a pensare e realizzare. Si tratta di un’economia attenta al valore della responsabilità sociale e ambientale e attivamente impegnata nella promozione della giustizia sociale e di uno sviluppo autenticamente umano. Un’economia, quindi, interessata a tradurre in forme organizzative coerenti una serie di valori ritenuti essenziali, promuovendo non solo crescita materiale (ovviamente importante), ma anche socio-relazionale, oggi più che mai importante e attuale.

Esistono allora diverse logiche economiche? E diversi modi di pensare il mercato?

Esistono modelli ortodossi e modelli eterodossi; esiste l’economia di mercato capitalistico ed esistono l’economia civile e l’economia del dono (e gli esempi potrebbero continuare). La sfida di fronte alla quale ci troviamo consiste nel capire se – senza proporre necessariamente modelli eterodossi e senza uscire dal mercato – sia possibile arricchire la teoria economica e, dunque, promuovere reali processi economici che non si esauriscano nel perseguimento dell’utile, né siano esclusivamente mossi da motivazioni egoistiche, ma che sappiano recuperare i fini autenticamente umani e sociali dell’economia. Si stanno, peraltro, osservando passi interessanti in questa direzione: pensiamo, ad esempio, agli studi e alle iniziative in materia di responsabilità sociale d’impresa, di corporate political activity o, più di recente, di social purpose delle imprese: questi temi sono ormai diffusi anche nei luoghi in cui si insegnano e si praticano i modelli mainstream.

Anche il consumatore può avere un ruolo nel definire le logiche del mercato? Come?

Il consumatore ha un ruolo fondamentale nel definire le logiche di mercato, premiando o penalizzando il comportamento delle imprese, attuando scelte di consumo consapevoli, contribuendo addirittura a creare un’offerta di beni e servizi fondata sul rispetto di criteri etici. I consumatori non sono semplici acquirenti; sono cittadini che credono in valori e principi e che possono legittimamente premiare le organizzazioni che rispettano e promuovono tali valori e principi.