Di Erica Gonano

Nel momento in cui l’intestatario di un rapporto bancario muore, la banca blocca i relativi rapporti e non consente nuove operazioni. Questo è dovuto principalmente a due ordini di ragioni. La prima è di carattere fiscale ed è connessa all’obbligo, per la banca, di verificare l’avvenuta presentazione della Dichiarazione di Successione da parte degli eredi. La seconda motivazione è di carattere “civilistico” ed è quindi legata al dovere, da parte della banca, di individuare i soggetti che hanno effettivamente titolo, ovvero diritto, a incassare le somme depositate nei rapporti intestati al defunto.

Infatti, qualora la banca, senza adottare la diligenza qualificata del buon banchiere, permettesse il prelievo, ad esempio, del saldo creditore del conto corrente, a un soggetto che non riveste la qualifica di erede, incorrerebbe in una responsabilità nei confronti dei reali aventi titolo.

Vediamo, quindi, quale sia la documentazione da fornire alla banca ai fini dello svincolo degli attivi ereditari.

Ogni banca si è dotata di proprie regole, ragione per la quale è bene chiedere subito all’Istituto presso il quale il defunto aveva dei rapporti quali sono i documenti da presentare. Nella pressoché generalità dei casi, sarà necessario produrre quanto meno: il certificato di morte del titolare del conto; la dichiarazione sostitutiva di atto notorio; il testamento corredato dal verbale di pubblicazione; la Dichiarazione di Successione presentata all’Agenzia delle Entrate.

Il testamento, corredato dal verbale di pubblicazione, andrà naturalmente prodotto soltanto qualora si tratti di successione interamente o parzialmente testamentaria. L’eredità, infatti, può essere attribuita (tecnicamente “devoluta”) mediante testamento oppure per legge.

In quest’ultimo caso, pertanto in assenza di testamento o qualora il defunto non abbia disposto con il testamento di tutti i propri beni, è la legge a determinare chi sono gli eredi, dando la priorità a quelli che sono maggiormente “vicini” al defunto, vale a dire il coniuge e i figli e, in loro assenza, ai parenti fino al sesto grado e, qualora non siano presenti neppure questi ultimi, allo Stato. Tali soggetti sono definiti complessivamente eredi “legittimi”.

Da questi ultimi vanno distinti i “legittimari” vale a dire coloro che, per legge, hanno diritto a ricevere una quota di eredità e che, pertanto, non possono essere “diseredati” attraverso il testamento. Tali soggetti, costituiscono una categoria maggiormente ristretta rispetto agli eredi legittimi e sono: il coniuge, i figli e gli ascendenti (tipicamente i genitori del defunto).

In presenza di eredi minori o incapaci, l’intero processo di liquidazione dell’attivo ereditario diviene maggiormente articolato. Tali soggetti, infatti, devono accettare l’eredità con beneficio d’inventario. Tale modalità di accettazione comporta che non vi sia “confusione” tra il patrimonio del defunto e quello dell’erede. Ad esempio, qualora il defunto abbia molti debiti, con l’accettazione con beneficio d’inventario l’erede anziché rispondere dei debiti ereditari con tutto il proprio patrimonio, ne risponde soltanto nei limiti dell’attivo ereditario ricevuto. A seguito del completamento della procedura di accettazione con beneficio di inventario è inoltre necessario che l’avente titolo (ad esempio il genitore superstite in presenza di minore) chieda al giudice tutelare l’autorizzazione a incassare l’attivo ereditario indicando nel ricorso anche le eventuali modalità con le quali intende impiegare tali somme. La relativa documentazione (ricorso, Decreto autorizzativo) va fornita in copia conforme alla Banca.