L’obiettivo di ogni editoriale dovrebbe essere quello di proporre spunti di riflessione e domande che lasciano aperti spazi a risposte anche differenti; risposte che ovviamente dipendono dai “perché”, dai fini che ogni Lettore si prefigge e allora inizio dal titolo.

Un titolo strano. Un’equazione dove il “Ben-Essere” è il risultato di una “moltiplicatoria”. Quindi se uno dei fattori fosse uguale a “zero” anche il risultato sarebbe “zero”.

Ma cosa significa ben-essere? Che differenza c’è fra altri termini, che spesso vengono usati quasi come sinonimi, quali “Sviluppo” o “Crescita”? Lo sviluppo può continuare ad alimentarsi solo con acquisti sempre maggiori di beni materiali (case, automobili, …)? O non vanno forse incoraggiati anche consumi di beni immateriali (cultura, turismo esperienziale, enogastronomia ecc.)? Quando parliamo di “crescita” intendiamo “crescita di ciò che abbiamo” o “crescita di ciò che siamo”?

E che dire degli altri due termini dell’equazione: “Territorio” e “Comunità”. Anch’essi vengono spesso usati come sinonimi, ma siamo sicuri che lo siano? Qualcuno sostiene che: si è nel Territorio (il riconoscimento reciproco di appartenenza, fra soggetti – persone, imprese, associazioni, amministrazioni – che vi intrecciano dinamiche condizionandone in modo anche formale, le strutture sociali, giuridiche, economiche e culturali) e, invece, ci si sente Comunità (associazione fra una circostanza fisica e una percezione mentale che, cementata dal senso di appartenenza, accomuna in una forma di solida relazione i diversi soggetti che la costituiscono, radicatasi in secoli di condivisione di valori e concezioni etico-morali, attraverso un percorso storico in cui si è creato un profondo legame fra il territorio – inteso come luogo fisico – e le relazioni fra i soggetti che lo costituiscono). Forse anche qui la risposta è: “Dipende!”.

L’ultimo termine è “Credito”. Qui vince la presunzione di provare a dare una risposta. I fatti (e i numeri) confermano che il modello della Banca di Comunità deve essere salvaguardato. Va difeso sia dalla visione omologatrice di chi sogna solo la grande banca Spa (e abbiamo visto che pure i grandi sbagliano), ma anche (e soprattutto) dai tentativi di restaurazione di quella parte di Credito Cooperativo, restia ad accettare e affrontare il necessario cambiamento, che sta gattopardescamente strumentalizzando parole come “autonomia” e “biodiversità” che, ovviamente vanno difese, ma non a discapito di “responsabilità” e “stabilità sistemica”.

E a coloro che scrivono le regole, che non perdono occasione di dimenticare che tutti i principi universali non sono indifferenti alla scala e che i costrutti astratti, perfetti sulla carta, rischiano di non essere altrettanto buoni della pratica in quanto le regole giuste per il “macro” non sempre vanno bene per il “micro”, va ricordato che il concetto di “Efficienza” può essere utilizzato solo dopo che si è fissato il fine che si intende perseguire.
L’efficienza è strumento per un fine, non un fine in sé. Ciò che si misura, e soprattutto il “perché”, inducono comportamenti: ognuno di noi ha la responsabilità di individuare gli indicatori più coerenti con i propri valori.

Non ho risposte certe in materia, ma nelle pagine che seguono, forse, troverete quale elemento in più per diminuire le incertezze. Nel frattempo, vi consegno una riflessione di Wight e Morton (2007).
In un ospedale sperduto, il medico di guardia ha a disposizione 10 dosi di un siero salvavita. Una certa notte arrivano all’ospedale due gruppi di 10 persone ciascuno, tutte bisognose del siero. Il medico sa che le persone del gruppo A, ricevendo il siero, avranno salva la vita. Quelle del gruppo B, invece, hanno una probabilità del 50% di restare in vita dopo aver ricevuto l’iniezione. A chi somministrerà le 10 dosi del siero il nostro medico se vuole allocare quella risorsa scarsa in modo efficiente? Al gruppo A, perché in tal modo salverà 10, anziché cinque, vite umane.
Supponiamo ora che al medico giunga la seguente informazione: le persone del gruppo A hanno un’età media di 80 anni con una speranza di vita residua di cinque anni; mentre le persone del gruppo B sono bambini di 5 anni, che hanno una speranza di vita residua di 80 anni. Come si comporterà in tale nuova situazione il nostro medico?

Se l’obiettivo efficiente sarà quello di massimizzare il numero di anni di vita, la sua scelta cadrà sul gruppo B, dal momento che 400 anni di vita (80x10x50%) superano di gran lunga i 50 anni di vita (5×10) che egli assicurerebbe se il siero venisse distribuito al gruppo A. Per completare la parabola, si assuma ora che le dosi di siero salvavita non siano di proprietà dell’ospedale, ma di un operatore privato che è disposto a venderle a chi offrisse
il prezzo più alto. In tali condizioni, se l’obiettivo diventa quello di massimizzare il ricavo (e quindi il guadagno), il medico avrà adottato un comportamento efficiente solo se distribuirà il siero salvavita al gruppo A.
A Voi Lettori ogni commento.