di Adriano Del Fabro

Recentemente, l’Ersa Fvg ha prodotto un report sulla situazione del comparto regionale della birra. I numeri sono riferiti al 2019 con l’aggiunta una serie di considerazioni di inizio 2020. L’indagine mette in evidenza un territorio che rende onore alla sua storica tradizione brassicola la quale vanta, qui, una presenza significativa a partire dalla metà dell’Ottocento. Da non dimenticare il fatto che, con scopi di didattica e di ricerca, l’Università degli Studi di Udine si è da tempo dotata di due impianti pilota, uno per la maltazione e uno per la produzione di birra, integrati nel Corso di Laurea in Scienze e Tecnologie alimentari al cui interno viene proposto l’insegnamento delle Tecnologie della birra.

In linea con l’Italia, in Friuli VG negli ultimi anni c’è stato un aumento esponenziale del numero delle attività artigianali e si registra, pure, una crescita delle superfici dedicate a orzo distico e luppolo. Infatti, risultano attive, oltre a un’importante e nota realtà industriale insediata a San Giorgio di Nogaro, 41 imprese artigianali (+41% rispetto al 2015 che rappresentano il 2,7% delle attività presenti a livello nazionale), con 3 nuove aperture nel 2020. Nello stesso anno, sono stati investiti oltre 980 ettari a orzo distico, per una produzione di quasi 4.800 tonnellate e circa 2,5 ettari a luppolo (esclusi gli impianti in allestimento che contribuiranno, presto, a far aumentare questo valore).

La situazione dei birrifici

Il report, basato anche sulle risposte a un questionario proposto dall’Ersa, compilato da 17 aziende rappresentanti il 40% delle realtà produttive del Friuli VG, presenta una situazione variegata (a esempio a livello di produzione, con imprese che producono 100 o meno ettolitri annui, ad altre che superano i 1.000 ettolitri), ma con alcune similitudini, come la tendenza a proporre, tra i vari tipi di birra possibili, le “bionde” (88%); a vendere gran parte della propria produzione in regione (le due regioni in cui si esporta più frequentemente sono il vicino Veneto – 54% delle aziende – e la Lombardia, 46%) e a mostrare un atteggiamento positivo verso il futuro della propria attività, nonostante la presenza di criticità evidenziate quali la burocrazia e l’assenza di una malteria a servizio del territorio. Infatti, nessuna delle aziende partecipanti all’indagine prevede di vendere di meno, anzi, 7 aziende su 10 prevedono di aumentare il proprio giro d’affari. Si rileva, inoltre, che il 24% dei birrifici possiede almeno una certificazione tra aziendale, di prodotto e di processo. Le aziende del comparto mostrano particolare interesse verso il marketing, intuendo l’importanza del potenziamento delle attività on-line. Non stupisce, quindi, che il 91% delle aziende che hanno investito in marketing nel passato continueranno a farlo in futuro e lo stesso dato si riscontra per l’on-line (il 71% dei birrifici ha attivato un proprio sito web. Erano il 25% nel 2004). Tramite questo canale, le birre vendute direttamente al consumatore hanno un prezzo medio di 11,17 euro al litro.

Dall’indagine emerge la grande attenzione nella formulazione delle birre proposte, ma anche la dipendenza dalle importazioni di materie prime estere. L’acquisto del luppolo viene fatto soprattutto in Usa, Germania, Nuova Zelanda e Gran Bretagna; per quello del malto ci si rivolge, principalmente, ai mercati di Germania, Gran Bretagna, Belgio e Austria.

Tuttavia, l’emergenza sanitaria intervenuta nel 2020 ha portato a conseguenze anche per questo settore, che risente della chiusura forzata del canale Ho.Re.Ca.: il perdurare di tale situazione, perciò, può, secondo l’Ersa, aver già mutato la fotografia descritta. L’impatto del Covid-19 sul comparto birra è ancora da decifrare, scrive l’Agenzia regionale, ma i danni per le piccole attività potrebbero rivelarsi ingenti. Nel 2020, on-line si trovano interviste in cui i gestori del settore sentiti evidenziano il calo netto delle vendite, dalle zone di montagna fino a Trieste.