Ne parliamo con Luca Grion.

È ripartita la SPES, la Scuola di Politica ed Etica sociale promossa dalla diocesi udinese e realizzata grazie al contributo di importanti realtà del territorio, compresa PrimaCassa. Siamo arrivati alla nona edizione di un percorso formativo che mira a promuovere, soprattutto tra i più giovani, una cultura della partecipazione e dell’impegno civile. Come sempre tanti i temi in agenda: dal senso profondo dell’azione politica, al futuro dell’Europa; dai nodi dello sviluppo sostenibile e della “giustizia giusta” alla cura dell’interiorità e dell’ambiente. Tra i tanti temi in programma, però, uno merita una sottolineatura speciale; ovvero il modulo dedicato alla comunicazione che, a maggio 2023 concluderà i lavori della SPES.
Viviamo un tempo nel quale gli strumenti per comunicare sono stati ampliati in modo incredibilmente ampio dalla rivoluzione digitale. Tenersi in contatto, essere facilmente reperibili, scambiare informazioni con grande semplicità non significa, però, aumentare la nostra capacità di comunicare davvero tra di noi. Proviamo così, sulla nostra pelle, il paradosso di vite sempre più connesse, ma povere di autentica comunicazione interpersonale. Non solo. Nella facilità dei contatti vediamo crescere fenomeni di polarizzazione, abbondare le notizie false, crescere il volume delle parole d’odio. Che fare? Ne abbiamo parlato con Luca Grion, direttore della SPES e docente di Etica della Comunicazione all’Università di Udine.

Molti vivono con disagio lo spazio crescente che il digitale ha conquistato nelle nostre vite. Si lamentano i genitori, pensando a figli che abitano sempre più gli spazi virtuali ai quali accedono tramite i loro telefonini. Si lamentano quei cittadini che denunciano la virtualizzazione di una politica “da salotto”, che troppo spazio regala ai così detti leoni da tastiera. Che fare, allora?

Il digitale, con il suo ruolo crescente nelle vite di tutti, è una realtà con la quale fare i conti. Sta trasformando le nostre vite e spetta a noi governare il cambiamento in modo intelligente. Per quanto riguarda il cosiddetto “virtuale” nel quale, sempre più spesso, intessiamo le nostre relazioni con altri, credo sia importante partire dal riconoscimento che non si tratta di una dimensione altra e opposta a quella del mondo reale. Al contrario. Si tratta di uno spazio di realtà nel quale condividiamo aspetti autentici delle nostre vite. La sfida, quindi, è quella di civilizzare la rete.

Nel raccogliere questa sfida la SPES ha deciso di dare visibilità al progetto di Parole O_Stili, una importante iniziativa culturale e formativa nata nella nostra regione. Perché questa scelta?

Perché il progetto di Parole O_Stili nasce proprio dalla volontà di costruire una comunità di persone desiderose di abitare la rete in modo intelligente. Il manifesto che dà parola a questo desiderio inizia con una premessa essenziale: il virtuale è reale. Non è uno spazio fantastico, totalmente separato dalle nostre vite reali. Al contrario è un luogo nel quale condividiamo pezzi importanti delle nostre vite. Sicuramente questo è ancora più vero per le nuove generazioni. Ma se il virtuale è reale, allora bisogna educare a vivere lo spazio digitale con le stesse (buone) regole che contraddistinguono la vita “analogica”. Anche nel virtuale, afferma il manifesto di Parole O_stili, dico e scrivo solo quanto ho il coraggio di dire di persona, perché le parole scritte in rete hanno la stessa realtà di quelle dette nel quotidiano. Anzi, il loro peso, nel bene e nel male, è amplificato dalla maggiore visibilità. Serve quindi un impegno educativo per formare cittadini digitali consapevoli.

Molti sono però preoccupati dal fatto che la rete sia soggetta a dinamiche difficilmente governabili. Si sente spesso parlare dello strapotere degli algoritmi, degli effetti distorsivi delle “filter bubbles” e delle “echo chambers”. Molti genitori sono spaventati e si sentono in difficoltà. Che fare?

Spazi di formazione nei quali imparare ad affrontare in modo consapevole la trasformazione digitale sono essenziali non solo per gli addetti ai lavori. Direi anzi che proprio le persone maggiormente distanti da questi mondi virtuali, ma quotidianamente in contatto con i giovani, dovrebbero sforzarsi di comprendere l’evoluzione in atto. Il compito educativo più urgente, infatti, riguarda l’uso intelligente dei nuovi strumenti di comunicazione digitale: fare di essi un veicolo capace di aprire realmente nuovi spazi di dialogo e di incontro interpersonale. Ma la cosa è tutt’altro che facile. Non basta saper usare i nuovi strumenti di comunicazione digitale; occorre riflettere criticamente sulle opportunità e sui rischi che ci portano in dote. Soprattutto serve una riflessione adulta su come (e quando) farli usare ai nostri figli.

Cosa intende?

Sul nostro territorio c’è un’altra realtà molto vivace, che da anni si impegna su questi temi. Mi riferisco al MEC – Associazione Media Educazione Comunità. Da anni sono impegnati in un progetto di alfabetizzazione digitale che ruota attorno all’idea di legare l’uso dei telefonini da parte dei ragazzi all’acquisizione di un apposito patentino. Un progetto che vede impegnate tantissime scuole della regione. Ma la grande domanda che questo progetto solleva è quale sia l’età giusta per questo tipo di patente? Noi forniamo troppo presto il telefonino ai nostri figli, senza interrogarci sui suoi pericoli. Ben vengano, quindi, spazi di riflessione comunitaria su questi temi.